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Cosa si cela dietro questa incomprensibile e quasi isterica attenzione verso i dati e la privacy? Istituzioni, Governi, Banche, organi di stampa sembrano sempre più concentrati su questi temi.  Biden (ve lo ricordate?)  ha bloccato TikTok per problemi legati ai dati e privacy. Deepseek, l’avversaria di ChatGpt è stata oscurata ed estromessa dal mercato italiano per problemi legati ai dati. Uno dei principali istituti di credito nazionali (IntesaSanPaolo) ottiene non volute aperture sui telegiornali e prime pagine nei giornali per violazione dei dati bancari di clienti, tra cui politici di primo piano. E così via. Come spesso facciamo, proviamo a unire i fili per capirne di più.

DATI O INFORMAZIONI. Cosa sono questi dati di cui tanto si parla? Proviamo a sostituire la parola “dato” con la parola “informazione”. Ogni volta che raccontiamo o riferiamo informazioni su di noi, cediamo un dato (cioè una informazione). I miei dati anagrafici sono informazioni, come il luogo in cui risiedo, il lavoro che svolgo, la composizione del mio nucleo familiare. Informazioni: dati appunto. Lo sono anche le analisi mediche di controllo periodico, le spese cliniche, gli estratti conto della banca o della carta di credito. Tutte informazioni su di me, sulla mia vita, sulle mie abitudini, sul contesto sociale, economico, finanziario, politico che mi riguarda.

DATI E PRIVACY. Comprendiamo bene che dati e privacy, dunque, sono due cose molto diverse. In alcuni casi sono obbligato a comunicare alcune informazioni che mi riguardano: se devo subire un intervento chirurgico, ovviamente devo trasmettere all’ospedale tutte le informazioni sanitarie in mio possesso. Se devo acquistare casa, prenotare un viaggio, noleggiare una macchina, iscrivermi in palestra, devo trasferire informazioni che mi riguardano per poter comprare quel bene o servizio.  Dati e privacy dunque sono due aspetti distinti di uno stesso problema: cosa succede quanto mie informazioni personali, anche riservate, sono ceduti ad altri soggetti?

TRATTAMENTO. Chi riceve i miei dati (pensate a un negozio online da cui acquisto un capo di abbigliamento o un telefonino), ricevere i miei dati personali (ad esempio nome cognome, indirizzo a cui spedire il prodotto, orari di consegna, codice del citofono e così via) ma anche fiscali (partita iva, ragione sociale) e anche bancari (non ho forse usato una carta di pagamento per l’acquisto?). E qui sta il problema: che uso ne farà?

AUTORIZZAZIONI. La protezione delle nostre informazioni (dei nostri dati), dipende solo in parte da noi. Mi spiego con un esempio molto facile. Tutti navighiamo su internet: accedendo a una pagina web è sempre più frequente trovare due pulsanti, uno con su scritto “autorizza” e un altro con scritto “gestisci”. Qui possiamo intervenire decidendo che i nostri dati siano gestiti esclusivamente per l’esecuzione del rapporto (cioè per la navigazione e per l’eventuale successivo per acquisto online che stiamo effettuando) e non per altre finalità. Queste altre finalità, quelle cioè che dobbiamo deselezionare scegliendo l’opzione “non autorizzo”) consentono al sito internet del nostro esempio di selezionare la pubblicità che visualizzeremo sul sito (in modo che possa interessarci), oppure profilarci per farci visualizzare pubblicità personalizzata o contenuti adatti a noi e così via.

DATA ECONOMY. Quanto appena descritto è solo un piccolissimo esempio di quella che chiamano “data economy”, una economia basata, tra l’altro, sulla raccolta di informazioni personali che vengono aggregate e utilizzate per fornirci suggestioni commerciali, ma anche culturali e politiche sociali, proprio perché sono personalizzate, confezionate su misura per noi. E magari riceveremo via mail o visualizzeremo in occasione del prossimo accesso al web anche una proposta di investimento o un mutuo “sartoriale” Comprendiamo bene che il nostro margine di intervento è molto limitato.

A SCUOLA DI DATI. Cedere dati è una attività che svolgiamo automaticamente e in modo inconsapevole: come respirare. Già solo la scelta del tg che guarderemo a colazione, o della app che utilizzeremo per ascoltare le prime notizie della giornata, sono il battesimo quotidiano con la costante cessione delle informazioni su noi stessi. Il vero problema sorge però quando questi dati (ad esempio i nostri dati bancari utilizzati con troppa disinvoltura su siti non attendibili) vengono trattati (e venduti) nel mondo oscuro del dark web. In questa parte di universo digitale che non conosciamo, si genere il rischio non di ricevere una proposta commerciale mirata, quanto piuttosto di subire una frode finanziaria personalizzata. In fondo, se ci pensiamo, nessuno ci ha mai insegnato il modo giusto per usare i nostri dati nel mondo reale e digitale. Sarebbe invece il caso per tutti di andare a scuola di dati, per proteggerci meglio dalle nuove forme predatorie che possono colpirci.

Massimo Melpignano



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