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Per Apple la sanzione è di 200 milioni di euro; per Meta (casa madre di Facebook, Instagram e WhatsApp) di ben 500 milioni. E’ questo il “conto” che l’Unione Europea ha presentato ai due colossi per aver violato le norme del Digital Markets Act.

PIU’ LIBERTA. IlDigital Markets Act (DMA) è il Regolamento europeo sui mercati digitali. Naturalmente lo conosciamo poco anche se è in vigore ormai da oltre 2 anni e mezzo. Ha un obiettivo molto semplice negli intenti ma molto difficile da praticare: impedire che le grandissime aziende (i cosiddetti “gatekeeper”) schiaccino la concorrenza e limitino la nostra libertà di scelta. Ma cosa c’entrano con questo i telefoni con il simbolo della mela i post che leggiamo su Facebook?

GATEKEEPER: Impariamo questa parola, la sentiremo ripetere spesso nei prossimi anni. Proviamo a tradurla artigianalmente in italiano, ci aiuterà a comprendere meglio il concetto. La prima metà della parola (gate) indice un ingresso, una porta d’accesso (effettivamente in aeroporto cerchiamo il “gate” cioè l’ingresso che ci consentirà di prendere l’aereo). La seconda (keeper) significa custode, guardiano. Il guardiano dell’ingresso è colui che decide chi entra e chi no. E a quali condizioni. Questo è quello che di massima non deve capitare in nessun di questi grandi Gatekeeper: nessuna limitazione e nessun favoritismo. Libero mercato quindi e parità di opportunità. Tra questi grandi Gatekeeper la UE annovera oltre a Meta e Apple anche Amazon e Microsoft.

CANCELLI APERTI. Secondo la Commissione Europea il sistema operativo iOS di Apple (quello che fa funzionare il telefonico, per capirci tra noi) è costruito in modo da rendere troppo complicato per gli sviluppatori informare gli utenti su alternative all’App Store. Tradotto: potremmo non sapere dell’esistenza di app simili, magari più economiche o con funzionalità migliori!  Sempre secondo la Commissione UE, Meta non offrirebbe agli utenti un controllo sufficiente sull’utilizzo dei propri dati per la pubblicità. In sostanza, dovrebbe essere più facile per tutti noi disattivare le pubblicità personalizzate basate sui nostri interessi e abitudini. Ricorderete che qualche mese fa Facebook propose una alternativa a pagamento rispetto a quella gratuita (e con pubblicità) che la gran parte di noi utilizza. Pagando avremo risolto il problema della pubblicità, ma non quello del trattamento dei nostri dati

IL TESORO DEI DATI. Il punto sta proprio qui. E tutto sarà incredibilmente più chiaro quando cominceremo a comprendere il valore dei nostri dati. Tutte le nostre relazioni digitali seminano dati: che passino attraverso un telefonino, attraverso la navigazione o la pubblicazione di un post sui social, attraverso una ricerca su un negozio online. Noi non ne comprendiamo ancora il valore: seminiamo dati e basta, e questo appaga la nostra esigenza digitale. Dall’altra parte c’è il mercato e chi raccoglie questi dati (i social ma anche il sistema operativo del nostro telefonino) cerca di tenerseli ben stretti: sono la sintesi delle nostre abitudini, del nostro modo di pensare, delle nostre propensioni di spesa. Loro lo sanno e quindi li usano a loro vantaggio. Ma questo è quantomeno corretto che avvenga in regime di libero mercato per tutelare le possibilità di scelta dei consumatori. Ecco perché il Digital Market Act prevede di sanzionare chi viola queste regole.

IL PREZZO. Siamo abituati a considerare i social e in generale tutto quello che sostituisce la vita reale con la vita digitale, come qualcosa di utile e addirittura di necessario. Abbiamo mai pensato che prezzo ci chiede di pagare chi ci mette a disposizione tutto questo?  Siamo davvero convinti che sia realmente gratis? La vera merce di scambio siamo noi, e per noi i nostri dati. I nostri dati sono il vero oro giallo di questi tempi, le vere terre rare. Non dimentichiamolo, e usiamoli con parsimonia e intelligenza.

 Avv. Massimo Melpignano



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