Come può riabilitarsi chi sbaglia? Con una buona azione che però non cancella quella cattiva.
Tanto più se a scegliere l’azione buona, e a ritenerla buona, è lo stesso responsabile dell’azione cattiva.
E’ quello che in questi giorni stanno provando a fare due banche: la Popolare di Bari e la Banca Agricola di Ragusa, le cui azioni si sono rivelate “cattive” per decine di migliaia di risparmiatori: decremento del valore e stagnazione nella vendita.
Tradotto in parole semplice: soldi persi.
Parte della stampa, che evidentemente conosce poco la realtà dei territori o piuttosto si affanna nel tentativo di rendere nobili gesti che tali non sono, ha posto particolare enfasi a due iniziative poste in essere da queste banche:
- La prima, adottata dalla Banca Agricola Popolare di Ragusa, prevede la costituzione di un fondo che dovrebbe consentire l’acquisto di azioni detenute da risparmiatori affetti da patologie, il cui elenco è stato stilato dalla banca.
- La seconda, adottata dalla Banca Popolare di Bari, che dopo aver letteralmente ignorato svariate decine di decisioni di condanna dell’arbitro Consob, pare abbia raggiunto un accordo con alcune associazioni di consumatori per istituire un fondo apposito per risarcire transattivamente alcune categorie di risparmiatori. Uso non a caso la parola “pare”, poiché abbiamo richiesto alla banca Popolare di Bari per ben X volte di conoscere il testo dell’accordo sottoscritto. Ma ad oggi non abbiamo ancora ricevuto nessuna risposta.
Perché queste misure, che pure potrebbero restituire in parte serenità ad alcuni risparmiatori, sono dei pannicelli caldi?
Anzitutto perché incontrano un limite democratico: è il sovrano che dall’ altro, magnanimo, cala la propria soluzione. Prendere o lasciare. La circostanza di coinvolgere, come nel caso della Popolare di Bari, alcune e non tutte le associazioni di consumatori è ancora più grave. Non coinvolgere significa escludere, e si esclude chi si teme o potrebbe non allinearsi. Questo forse spiega anche la reticenza a rendere pubblico il testo di un accordo che sarebbe stato sottoscritto oltre un mese fa.
In secondo luogo perché si pone l’attenzione sulle frange estreme (patologie mediche o crisi lavorative), certamente degne di attenzione, dimenticando il risparmiatore medio.
E’ questa carità da pranzo di Natale dispensato dal ricco alla mensa dei poveri che non va bene.
Troppo facile fare i magnanimi con gli ultimi e continuare a non guardare la realtà in faccia. Chi ha perso i propri risparmi, spesso tutti i propri risparmi, in titoli illiquidi e collassati, ha subìto un shock finanziario e morale che si tende ad ignorare.
Conosciamo anziani ultraottantenni trasformati in azioni, che oggi non sanno come integrare la modesta pensione, e vivono in quella indigenza che proprio con il risparmio di una vita volevano evitare.
Conosciamo famiglie che avrebbero dovuto sposare figli, salvare aziende in difficoltà, sostenere gli studi dei figli. E oggi non possono più farlo.
Sono forme altrettanto gravi di emarginazione sociale ed economica a cui non si vuole guardare. La carità agli ultimi, ai più sfortunati tra gli sfortunati, si sa, paga. Gli altri si arrangino.
E c’è una terza cosa che proprio non va in queste misure: le scuse.
La Banca Popolare di Bari e la Banca Agricola di Ragusa dovrebbero chiedere scusa ai tanti piccoli risparmiatori che si sono fidati di loro.
Ma questo costerebbe molto più della carità, perché significherebbe ammettere le proprie responsabilità. Ammettere di aver sbagliato.