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Le cifre sono chiare: secondo la Banca d’Italia, i prestiti a imprese e famiglie sono diminuiti del 3,3% ad agosto rispetto al 2022. Questa riduzione dell’accesso al credito è un campanello d’allarme per il tessuto imprenditoriale italiano, in particolare per le piccole e medie imprese (PMI). E se questo fenomeno non è nuovo, il suo impatto si fa sempre più pesante in un contesto economico delicato.

Un report recente dell’Abi evidenzia un irrigidimento dei criteri di offerta di prestiti alle imprese, spesso motivato da una “maggiore percezione del rischio” da parte delle banche. Questo irrigidimento aggrava ulteriormente la situazione, rendendo ancor più difficile per le PMI accedere ai finanziamenti di cui hanno bisogno per investire e crescere.

L’aumento dei tassi di interesse e la generale contrazione degli investimenti hanno portato a una riduzione della domanda di prestiti. Il recente aumento dei tassi da parte della BCE, seppur rassicurante per i mercati finanziari, non ha fornito alcuna motivazione per le banche di allentare la stretta del credito.

Come sottolineato dall’Ufficio Studi di Confcommercio, i rincari dei tassi potrebbero costare alle PMI fino a 6,7 miliardi di euro di costi aggiuntivi in un anno. Oltre al peso economico, c’è un effetto ancor più dannoso: il calo della fiducia imprenditoriale, che potrebbe a sua volta limitare gli investimenti futuri.

Il panorama attuale evidenzia una crescente precarietà per le piccole e medie imprese italiane, con la stretta del credito che agisce come un ulteriore fattore di stress in un quadro economico già fragile. È necessario un intervento mirato e strategico per evitare che questa crisi silenziosa diventi una catastrofe per il cuore imprenditoriale del Paese.



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