Anche il territorio pugliese è stato colpito massicciamente dalla maxi-truffa dei diamanti, salita agli onori della cronaca nei giorni scorsi.
Come noto, il Tribunale di Milano, con Sentenza n. 43/2019 del 15 gennaio scorso, ha dichiarato il fallimento di Intermarket Diamond Business Spa (IDB Spa), la società venditrice di diamanti che collocava pietre preziose sul mercato tramite il canale bancario.
Gli istituti coinvolti nell’inchiesta sono Banco Bpm, Banca Aletti, UniCredit, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi.
Per anni il sistema ha funzionato senza intoppi: gli impiegati bancari proponevano questa forma di investimento alternativa, l’acquisto di pietre preziose per l’appunto, con interessanti prospettive di guadagno nel medio e lungo termine, legate anche ai facili canali per la rivendita.
Pochi, in ogni caso, i riscatti esercitati, disincentivati anche da una sorta di penale di uscita del 10% circa.
Il contratto veniva stipulato direttamente tra il fornitore delle pietre (IDB e Dpi, coinvolti nell’inchiesta e tra i principali player del settore) e il cliente.
Alla banca venivano retrocesse corpose commissioni, anche tra il 15-20% del valore dei contratti: questi, però, venivano fatti firmare direttamente dagli impiegati della banca, molto spesso in assenza del rappresentante del fornitore dei diamanti.
Il 20 febbraio scorso la Guardia di Finanza ha eseguito un super-sequestro per circa 700 milioni di euro, che ha coinvolto sia le società venditrici di diamanti che gli istituti di credito coinvolti.
Questi ultimi si sono difesi facendo leva sul ruolo di “semplici segnalatori”, ma tanto l’intervento dell’Antitrust nell’ottobre 2017 quanto l’inchiesta in corso hanno rivelato un ruolo da protagonisti, soprattutto dei loro impiegati, che promuovevano attivamente e massicciamente la vendita di diamanti prospettandola come soluzione di investimento a basso rischio, ma dai certi rendimenti.
Il problema, anche in questo caso, come già accaduto per le azioni illiquide delle banche popolari, è che questo investimento è stato proposto senza mettere i risparmiatori nelle condizioni di valutarne appieno i rischi; senza rivelare il valore reale dei diamanti; prospettando aumenti del valore del capitale investito basati su previsioni non realistiche, legate alla sovrastima delle pietre su listini con valori assolutamente falsati rispetto ai reali prezzi di mercato.
Ancora una volta, a farne le spese, i risparmi degli italiani che oltre al danno potrebbero subire anche la beffa di perdere il possesso dei diamanti acquistati lasciati in custodia alla società venditrice.
A questo proposito, esortiamo tutti i risparmiatori che al momento dell’acquisto non hanno ritirato le pietre a rivolgersi al curatore fallimentare depositando un’apposita istanza entro il termine perentorio dell’8 marzo 2019, fissato dal Giudice di Milano per l’ammissione allo stato passivo.
Questo è solo il primo passo della strada che invitiamo a percorrere senza tralasciare – nel contesto dei mercati finanziari in cui vige, sugli intermediari, l’obbligo di informare adeguatamente, correttamente e diligentemente nella prestazione dei servizi di investimento – la possibilità di agire nelle sedi opportune per il risarcimento dei danni subiti.
Per approfondire:
Tribunale di Milano, Sentenza n. 43 del 15 gennaio 2019